lunedì 5 agosto 2013

Prima edizione fiera nautica a Golfo Aranci


Dal 28 agosto fino al 1 di settembre, il lungo mare di Golfo Aranci sarà il teatro dell’evento Mare&Sardegna. La manifestazione, organizzata dal Comune di Golfo Aranci, da Star Solution 05 in collaborazione con Confindustria, Cna e Camera di Commercio di Sassari, sarà un evento di richiamo internazionale che avrà lo scopo di rilanciare il settore nautico.

Nautica, pesca, sport, ambiente e tradizione si fonderanno per creare l’unione delle economie del mare, intorno alle bellezza della cittadina costiera. Il villaggio Mare&Sardegna ospiterà rassegne di nautica con yacht e imbarcazioni nuove e usate.

Sul lungo mare di Golfo Aranci, saranno allestiti degli stand dove verranno ospitate rassegne di pesca e manifestazioni sportive che vanno dalla vela al surf, passando per la canoa e il Diving. Non mancheranno, inoltre, le attività rivolte ai più piccoli, con corsi di educazione ambientale per sensibilizzare i giovani al rispetto dell’ambiente e del mare. Il filo conduttore dell’iniziativa che prende il via quest’anno per la prima volta a Golfo Aranci, è la cultura del mare.

venerdì 2 agosto 2013

Ma i pesci bevono ??!!


I delicati equilibri che permettono la vita nell’acqua dipendono in parte dalla concentrazione di sali in essa disciolti, sia che si tratti di quella dell’ambiente esterno, oppure di quella contenuta nei tessuti e nel sangue. E’ evidente quindi che i problemi di mantenimento dell’equilibrio interno sono strettamente correlati all’ambiente e come siano diversi a seconda che si tratti di un pesce di mare, di uno di acqua dolce o di un pesce che viva in ambienti salmastri. I principali ioni contenuti nell’ambiente interno dei pesci sono uguali a quelli dell’acqua di mare, ma presenti in quantità inferiore a quella contenuta in un equivalente volume di acqua marina. Ciò significa che la concentrazione dei sali nelle cellule dei pesci dulcacquicoli è maggiore rispetto a quella che si trova nello stesso volume di acqua dell’ambiente che li circonda. Per il principio di osmosi, attraverso le membrane cellulari semipermeabili l’acqua passa dalla soluzione meno concentrata a quella più concentrata. Nei pesci d’acqua dolce, l’acqua che defluisce attraverso le branchie durante gli atti respiratori passa per osmosi nel sangue, attraverso le sottili pareti dei capillari branchiali e delle mucose della cavità orale.
I pesci marini, al contrario, il cui ambiente interno contiene meno sali in soluzione di quanti ne sono contenuti un equivalente volume di acqua di mare, hanno la tendenza a perdere acqua attraverso queste membrane. In entrambi i casi, comunque, i pesci devono bilanciare l’una o l’altra tendenza per preservare il loro equilibrio interno. I Teleostei marini suppliscono alla perdita di liquidi bevendo l’acqua di mare, come si può facilmente verificare aggiungendo una quantità nota di colorante organico all’acqua di un acquario. Misurando poi la quantità di tintura assorbita dall’intestino dei pesci, si può risalire al volume d’acqua di mare da essi ingoiata. Osservazioni sperimentali condotte sull’anguilla, hanno evidenziato che in 24 ore l’animale è in grado di assorbire 10ml d’acqua di mare, oltre ad una certa quantità d’acqua che esso assume dal suo nutrimento. Quando i pesci bevono acqua di mare per non disidratarsi, accumulano nel proprio organismo sali in concentrazioni superiori a quelle normalmente presenti nel loro ambiente interno; per ripristinare l’equilibrio devono quindi eliminare i sali in eccedenza, che vengono espulsi attraverso le branchie o con le feci. L’escrezione è svolta in massima parte dall’apparato renale che, mediante la produzione di urina, elimina i sali ammoniacali e, in piccole quantità, creatinina ed acido urico; le branchie provvedono invece ai prodotti azotati più semplici, i composti di urea e di ammonio.
I pesci cartilaginei, quali razze e squali, si sono sottratti allo stress fisiologico affrontato invece dalla maggior parte dei pesci marini grazie ad una particolare adattabilità biologica: producono urea anziché sali ammoniacali ed espellono pochissima urina, aumentando così la concentrazione salina del sangue che raggiunge valori di poco superiori a quelli dell’acqua di mare. Ciò significa che questi animali non hanno bisogno di bere l’acqua di mare, perché quella che circola nel loro corpo attraverso le branchie e la bocca è sufficiente all’attività di filtraggio dei reni. Forse è stata proprio questo adattamento biochimico a confinare i pesci cartilaginei in mare, anche se esistono alcuni rappresentanti delle acque dolci (razze del genere Potamotrigon), ma non esiste alcuna testimonianza fossile che dimostri che i Condroitti siano stati membri rappresentativi della fauna dulcacquicola.
Per quanto riguarda invece i pesci d’acqua dolce, essi hanno un sangue meno salato di quello dei Teleostei marini, ma comunque molto ricco di sali se paragonato all’acqua in cui vivono. La loro tendenza sarà quindi quella di diluire la concentrazione salina interna facendo liberamente affluire acqua dalle branchie e dalle membrane mucose. Uno sviluppato apparato renale provvede poi ad eliminare l’acqua eccedente insieme alle scorie azotate del metabolismo: i pesci d’acqua dolce, infatti, producono un’abbondante quantità di urina, in un giorno circa 10 volte il loro peso; al contrario, i pesci marini eliminano pochissima urina, piuttosto concentrata, per evitare di disidratarsi.
Questi meccanismi regolano l’equilibrio idrico; invece, a quello salino provvedono lo stomaco, che arricchisce il sangue di sali prelevati dal nutrimento, e soprattutto le branchie, che nei pesci d’acqua dolce sono in grado di assorbire selettivamente i sali dall’acqua; al contrario, nel caso dei Teleostei marini le branchie provvedono ad espellere l’eccedenza di sali introdotta con l’acqua ingerita.
Oltre al ruolo insostituibile che hanno nella respirazione, le branchie dei pesci regolano quindi anche l’equilibrio idrosalino, eliminando o assorbendo i sali a seconda delle necessità fisiologiche dei pesci, permettendo così la propagazione di molte specie in differenti tipi di habitat acquatici. Pesci molto diversi sono in grado di vivere in acque il cui contenuto salino varia dalle condizioni oceaniche a quelle delle acque dolci, tuttavia, la maggior parte dei pesci, sia marini che d’acqua dolce, si limitano strettamente all’uno o all’altro ambiente. I pesci che effettuano migrazioni, come i salmoni e le anguille, sottopongono il loro ambiente interno ad importanti variazioni di salinità; altri, come i Ciprinodontiformi, sono in grado di sopportare sbalzi di salinità considerevoli ed istantanee.
La larga adattabilità delle specie di pesci che vivono in acque salmastre dipende in massima parte dalla straordinaria attività delle branchie e dei reni, da una debole permeabilità della loro pelle all’acqua e da complessi meccanismi che coinvolgono l’apparato endocrino e nervoso. Il coordinamento delle funzioni che regolano l’equilibrio idrosalino dei pesci ha ancora bisogno di studi approfonditi, che riescano a spiegare in maniera convincente perché l’adattamento a gradienti diversi di salinità si è spinto principalmente verso le acque dolci, piuttosto che verso il mare, coinvolgendo non solo i pesci ma anche molti invertebrati acquatici. Perché, in linea di massima, è più facile ad un pesce marino passare in acqua dolce che non il contrario? Forse le branchie della maggior parte dei pesci di acqua dolce sono incapaci di invertire la loro funzionalità, passando dall’assorbimento all’escrezione dei sali; ma se davvero è questo il limite, non si spiega in ogni caso perché il passaggio inverso sia possibile per un largo numero di pesci marini. Molte domande su questi aspetti della fisiologia dei pesci rimangono ancora di difficile risoluzione.


giovedì 1 agosto 2013

I Capi.... sogno o incubo per i navigatori

I mari più burrascosi, più inospitali e meno frequentati dalle rotte delle navi sono quelli dell’emisfero Sud che confinano con le immense distese ghiacciate dell’Antartide. Gli avamposti dei continenti, hanno da sempre un fascino particolare sia per i naviganti, sia per chi poco conosce i misteri del mare.
Capo Horn, Capo di Buona Speranza e Capo Leeuwin sono considerati i “Capi” dei continenti che guardano verso Sud. Ognuno di questi posti può raccontare terribili tempeste e orrendi naufragi, come anche scoperte che hanno cresciuto l’arte di navigare.

Capo Leeuwin, estremo lembo di terra a Sud ovest dell’Australia, prende il nome dal vascello olandese “Leeuwin” ( Leonessa) che per primo nel 1622 navigò nelle sue acquee. Pur non essendo la terra più meridionale dell’Australia, Capo Leeuwin viene considerata come una delle “boe” per le regate a vela che si svolgono intorno al mondo.

Capo di Buona Speranza, erroneamente considerato il punto più meridionale del continente africano, già dal nome preannuncia una zona di acque “poco ospitali” per la navigazione. In realtà, il punto più meridionale del continente non è Capo di Buona Speranza ma Capo Agulhas, posto a circa 30 miglia più a Sud. In questa zona l’Oceano Atlantico incontra l’Oceano Indiano, e le loro acque, caratterizzate da correnti e temperature differenti, creano condizioni meteo marine molto spesso difficili.

Il sogno di tutti i marinai, spesso l’incubo di chi l’ha visto dal mare, è però Capo Horn. L’avamposto del continente americano, che in realtà è una piccola isola facente parte del Cile, è stato doppiato la prima volta nel 1616 dall’esploratore olandese Willem Schouten, che la chiamò così in onore della propria città natale.
Le acque antistanti il Capo sono poco profonde, mentre poco più al largo le profondità sono notevoli; questa enorme differenza di profondità in uno spazio ridotto fa si che le onde, incontrando la piattaforma continentale, accrescano la loro altezza fino a formare devastanti muri d’acqua. Anche i costanti venti che soffiano impetuosi da Ovest verso Est creano non pochi problemi, soprattutto per chi doppia il Capo passando dall’Oceano Atlantico all’Oceano Pacifico.

L’uomo, ben conoscendo queste difficoltà, ha creato un canale artificiale il famoso Canale di Panama per evitare queste zone e per risparmiare migliaia di miglia di navigazione, oppure preferisce navigare nelle strette ed anguste acque del Canale di Magellano che delimitano il continente americano.

Le più lunghe e difficili regate a vela utilizzano questi tre Capi come fossero “boe”, ma in realtà sono punti dove ogni marinaio deve far forza alle proprie conoscenze ed esperienze, e talvolta fare affidamento alla buona sorte.